martedì 2 febbraio 2016

L'aurora in Islanda

2 febbraio
Programma del volo: Partenza 8:30, scalo a Bruxelles, partenza secondo volo 12:50. Arrivo a Reykjavik 15:15
Decolliamo con mezz’ora di ritardo. Pranziamo all’aeroporto di Bruxelles e attendiamo il volo successivo. Sono quasi le 16 quando ci preparariamo all’atterraggio. L’aereo vira e l’ala lascia intravedere una vasta distesa innevata. Ecco la terra dei miei sogni, vestita in bianco, piu’ bella che mai!
La neve ha addolcito i taglienti profili delle rocce laviche che sporgono quanto basta per ricordarci la loro presenza. Il cielo sfuma in tonalità pastello che vanno dall’azzurro all’indaco e l’oceano è blu.
Ritiriamo l’auto (una Suzuki Jimny con le ruote chiodate), facciamo la spesa di viveri e schifezze e puntiamo verso la capitale. Le strade tutto sommato sono in buono stato: incappiamo in qualche lastrone di ghiaccio, ma la tenuta di strada è discreta. Ci fermiamo al Sólfar, il caratteristico monumento a forma di nave vichinga denominato ‘Viaggiatore del Sole’.

Da  qui si domina la baia, che in questo tardo pomeriggio è illuminata dalla luce di un delicato tramonto. Prestiamo attenzione a non scivolare: sotto ai nostri piedi ci sono neve e ghiaccio e iniziamo ad realizzare che fa decisamente freddo! Il termometro segna -3 e noi indossiamo ancora vestiti leggeri.
Il sole scompare oltre l’oceano e i suoi tiepidi raggi lasciano posto ad una fresca brezza che accarezza il viso e alleggerisce il cuore.
Attraversiamo la cittadina per raggiungere la Galtafell Guesthouse. L’appartamentino è comodo ed ospitale. Ci bardiamo come palombari e usciamo per una gelida passeggiata in centro. Reykjavik è una cittadina moderna e vivace, la adoro anche in inverno. La gente passeggia incurante del freddo e del suolo scivoloso (la colonnina è scesa a -8) e i locali brulicano di vita. Nel laghetto, per due terzi gelato, nemmeno le oche sembrano curarsi del clima, mentre a noi, poveri mortali, tocca scivolare e sentire freddo. Ci arrendiamo e torniamo al calduccio per una cena improvvisata.
Il meteo prevede una notte serena e il sito che dà informazioni sull’aurora auspica grosse probabilità di vederla. Decidiamo di uscire nuovamente.
La serratura dell’auto è congelata e tocca soffiarci dentro per un po’ prima di riuscire ad aprire la portiera. Aspettiamo che l’abitacolo si riscaldi, che il ghiaccio sui vetri si sciolga e partiamo per una meta sconosciuta in cerca di una zona poco illuminata (cosa non troppo difficile da queste parti).
Prendiamo la strada che sale verso Pingvellir, ci infiliamo in una strada innevata facendo attenzione a non rimanerci dentro e scrutiamo il cielo illuminato da una miriade di stelle: non abbiamo nemmeno idea di cosa potremmo trovarci, è la nostra prima caccia alla luce misteriosa.
In lontananza, nel golfo, mi sembra di vedere una nuvola dall’aspetto insolito, mi sembra pure che si muova, ma sono abbastanza scettica. Ale scatta una fotografia. La fotocamera, amplificando la luce, rivela l’incanto: è tenue, è lontana, ma si tratta proprio dell’aurora. Ci fiondiamo in auto per scendere verso la costa e, senza perdere di vista la luce che si fa sempre più intensa, imbocchiamo uno sterrato che conduce a ‘Nonsodove’. Sostiamo in mezzo alla stretta strada deserta e scendiamo dall’auto per assistere ad uno degli spettacoli più belli mai visti prima. Bagliori verdi e rosa danzano sopra le nostre teste.

Una mano invisibile gioca con veli di luce: li fa fluttuare, li arriccia, li sventola e li agita plasmando figure incantate. Ora riconosco la veste di una fata, ora la nuvola di fumo che esce dalla bocca di un drago... fantasiose immagini scorrono davanti ai miei occhi, non smetterei mai di osservare il cielo se non fosse per il gelo (-10) che mi sta amputando i piedi. Salgo in macchina, tolgo le scarpe, piazzo i piedi sul cruscotto, avvio il motore e tento di trovare un po’ di ristoro nell’aria tiepida che esce dal ventilatore. Ho freddo, ma non desisto: lo spettacolo di questa notte è unico.
Il  sonno e la stanchezza non si fanno sentire ma si è fatto davvero tardi: a malincuore lasciamo ‘Nonsodove’ per far ritorno all’appartamento.

3 febbraio 
Mi sveglio sfiorata dai baffi di un musetto bianco. Ale, già sveglio da un po’, ha aperto la porta al gatto della padrona di casa che pretendeva un po’ di calduccio e il simpatico amico ha subito approfittato del cuscino tiepido. Facciamo colazione e ‘sviluppiamo’ le foto scattate ieri notte.
Sono le 10 ed inizia ad albeggiare. Facciamo i bagagli, ci imbacucchiamo e, prestando molta attenzione a non scivolare, ci infiliamo in macchina. Siamo diretti ad est, verso la penisola di Snæfellsnes. 
Contemplo le immagini monocromatiche di quest’alba ghiacciata. Il cielo è bianco. Gli scuri pendii sono leggermente innevati. Sembra che candide terre siano state impolverate da un leggero strato di neve nera: tutto si confonde in questo spazio surreale.

Il  termometro segna -6 e la neve secca che ricopre la steppa viene incessantemente spazzata dal vento. Percorriamo chilometri attraversando zone desertiche, la distesa innevata incontra un orizzonte bianco striato di giallo e di turchese.

Superiamo il passo che sovrasta Grundarfjordur e il cielo si fa colmo di neve minacciando un’imminente tempesta.
Alle pendici dell’innevato Kirkjufell, il monte dalla caratteristica forma a punta, si sono dati appuntamento una decina di fotografi. Il sentiero che sale alle cascate, da dove è possibile scattare l’abusata fotografia, è ghiacciato, bagnato e scivoloso. La notorietà del luogo mi indispone, accenno la salita e mi arrendo.
Cristalli di neve ghiacciata mi punzecchiano il viso, il vento gelido mi assedia; mi avvolgo nella sciarpa di lana e passeggio nervosamente per mantenere il sangue in circolo in attesa che marito e figlio scattino sta benedetta foto.
Il  viaggio per il ritorno è lungo e lento: sta nevicando, la strada è un lastrone di ghiaccio e le improvvise raffiche di vento smuovono l’auto: non azzardiamo ad avanzare a più di cinquanta chilometri orari. 
Giungiamo a Reykjavik in tempo per assistere ad un tramonto soffocato da nuvoloni grigi, gustiamo delle saporite alette di pollo al KFC e ci ritiriamo per la notte.

4 febbraio
Nella buia mattinata ci accingiamo a lasciare Reykjavik in direzione Vik. La proprietaria dell’albergo, dubitando di avere a che fare con folli o sprovveduti scoraggia le nostre intenzioni invitandoci a consultare il sito aggiornato sulle condizioni meteorologiche. Solo allora, realizziamo la gravità della situazione. 
Nel sud dell’isola è in atto una violenta tempesta di neve! Decidiamo di rimanere nei dintorni della capitale imboccando la strada per la penisola di Reykjanes. Raggiungiamo il faro di Garður; il cielo è sempre più nero e il mare plumbeo, perdiamo ogni speranza di miglioramento delle condizioni. 
Facciamo una brevissima sosta per visitare l’infernale solfatara di Gunnuhver. Scendiamo dall’auto, marciamo lungo il pontile che conduce alla fossa; l’attrazione di oggi però non è tanto la nuvola di vapore quanto il gelido vento che ci spara contro proiettili di ghiaccio. Il nostro abbigliamento, definito impermeabile, non supera la prova e in pochi secondi siamo fradici e congelati. In una lotta impari contro la furia dell’aria, a testa bassa e ad occhi chiusi, arranchiamo per guadagnare terreno in quelle poche centinaia di metri che ci separano dall’auto.
Bagnati e sbattuti come stracci in lavatrice impieghiamo un po’ a riprenderci. Insistiamo nella gita all’aperto in una giornata decisamente da divano e raggiungiamo la penisola di Reynisfjara. Sostiamo sulle scogliere. I faraglioni neri, avvolti dalle violente onde, creano un’atmosfera alquanto tetra. Nell’aprire la portiera, che mi viene strappata di mano dal vento, un pacchetto di biscotti, che stava sul cruscotto, prende il volo per l’oceano; scossa dalle raffiche, rimango aggrappata ai sedili dell’auto mentre Davide e Ale sfidano per qualche istante la tempesta. (Spero non facciano la fine dei biscotti...)
Abbiamo capito che è meglio rincasare: affittiamo un monolocale nei dintorni della chiesa di Reykjavik e ci ritiriamo ad osservare dalla gocciolante finestra della camera il cielo nero e l’acqua mista a neve che batte sul vetro.
Il campanile rintocca le 20 e studiamo come raggiungere incolumi un posto per riempire il pancino. Dalla mappa scorgiamo una pizzeria proprio all’angolo del palazzo dove ci troviamo: dieci passi e siamo seduti al tavolo! Ci intratteniamo con una birra e una chiacchierata con un simpatico signore islandese e la serata trascorre lieta.

5 febbraio
Veniamo svegliati dallo spalaneve. Che nevicata! La tormenta pare sia cessata. Sono le 9 ed è ancora buio, ma qualche luminosa stellina e uno spicchio sorridente di luna auspicano uno sprazzo di ciel sereno. Lasciamo la città diretti verso sud e in pochi minuti ci troviamo immersi in uno scenario fantastico. Le strade sono scivolose, ma gli islandesi non sembrano preoccuparsene troppo; proseguiamo ad una velocità di crociera di circa 60 chilometri orari su un fondo completamente ghiacciato. Attorno a noi sconfinati paesaggi, ammorbiditi da un candido manto nevoso, assumono tenui colori violacei. Il cielo di quest’alba è rosa e dalle valli innevate s’innalzano nuvole di vapore che provengono dal suolo ribollente di questa terra arcaiaca.
Attraversiamo chilometri di terre bianche, l’alba assume colori intensi e lascia spazio al cielo azzurro del nuovo giorno. Superata Selfoss l’orizzonte si colora di nuovo di arancio. Più ci avviciniamo e più il nuvolone si fa inquietante. L’arancio diventa sempre più scuro e veniamo inghiottiti.

Udiamo il rumore di una raffica e realizziamo di essere nel mezzo di una fitta e finissima pioggia ghiacciata che poi si trasforma in granelli bianchi che si attaccano al vetro della Jimny come palline di polistirolo.
Alla cascata di Sejilandfoss giganti fiocchi di neve toccano il suolo leggeri come piume. Sostiamo per una passeggiata. Davide indossa i ramponi e riesce ad arrivare fin sotto al flusso d’acqua, noi compiendo non indifferenti gesti di equilibrio, ci avviciniamo il più possibile. 
La successiva visita è all’imponente cascata di Skogafoss. Ha smesso di nevicare e il cielo grigio trasforma il paesaggio in una cartolina in bianco e nero.
Raggiungiamo le plumbee acque dell’oceano. Prima di entrare in Vik deviamo per un’innevata stradina che porta al fantastico promontorio di Dyrhólaey. I segni della tempesta di ieri sono ancora visibili: incrociamo qualche auto capottata abbandonata nella neve. 
Lo spalaneve è passato, ma il vento ha ricoperto la strada di spesse lingue di neve. La Jimny si muove bene, ma non sappiamo fin dove possa spingersi e in alcuni casi temiamo di rimanere innevati. In alcuni tratti l’acqua salata è giunta a ricoprire terreni depressi e questo oceano gelato dal quale sorgono isolotti di roccia nera è davvero suggestivo.
Davanti a noi alcune auto sono rimaste invischiate, per evitare di fare la stessa fine retrocediamo. La strada che conduce a Kirkjufjara è appena stata pulita e riusciamo ad arrivare fino alla spiaggia nera. Passeggiamo sul bagnasciuga tenendoci a debita distanza dalle fragorose onde che superano i tre metri di altezza.
Il cielo grigio si confonde con un oceano altrettanto grigio e la schiuma delle onde disegna curve bianche sulla distesa di sassolini neri.
Raggiungiamo il moderno ed elegante albergo di Vik e ci rintaniamo in una camera dalle ampie vetrate dalle quali assistiamo ad una soffice nevicata.
Nel mezzo della notte il cielo si rasserena, improvvisiamo un’uscita a caccia dell’aurora, ma rientriamo a bocca asciutta.

6 febbraio
Partiamo da Vik all’alba per ritornare alla capitale. Il tempo è ancora brutto, il viaggio è lungo, ma la strada, oggi, è decisamente pulita. Sostiamo nei pressi di Selfoss per un pranzo veloce e imbocchiamo l’anello d’oro per un salutino a Geyser. Strokkur ci intrattiene con i suoi repentini sbuffi. Restiamo per un po’ ad osservare la pozza d’acqua che si gonfia fino a formare una bolla che, infine, esplode in una vaporosa fontana.
Riprendiamo il nostro viaggio e giungiamo nell’incantevole B&B di Keflavik (link). Prima di ritirarci approfittiamo della vasca termale: attraversiamo il giardino in costume con andatura da centometrista e ci immergiamo nell’acqua calda. Io la trovo bollente e resisto davvero poco. Il rivestimento del pavimento in roccia lavica mantiene la temperatura, che si aggira attorno ai 38°, costante. Il bagno mi ha dato una botta di stanchezza, usciamo per un tristissimo panino al Subway e ritorniamo in camera.

7 febbraio
Partenza del volo 8:00, scalo a Copenhagen, secondo volo 17:05. Arrivo a Milano 19:10


Costo del viaggio:
Aereo: 1.697 Euro
Auto: 492 Euro
Cibo: 100 Euro
Pernottamenti: 380 + 318 + 110 Euro

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