domenica 13 agosto 2017

Irlanda del nord

3-4 agosto
Sono le 23:30 quando atterriamo a Dublino. Avevamo previsto di trascorrere la notte in aeroporto, ma non avevamo previsto la carenza di posti a sedere. Quando i voli si fermano ogni angolo comodo, ogni divanetto e ogni poltroncina sono presi d’assalto da chi si trova costretto ad aspettare che l’attività aeroportuale riprenda.
Lo sportello del noleggio auto riaprirà alle 5 e noi, inesperti, siamo rimasti senza ‘branda’. Ci distendiamo sul pavimento tra le file di tavoli, ma l’aria condizionata mi congela la schiena e il fondoschiena. Provo ad affiancare tre sedie e mi sdraio a pancia in giù. Incredibilmente riesco ad addormentarmi. Quando riapro gli occhi, Ale e i bagagli sono scomparsi. Realizzo un attimo dopo che sono dall’altra parte; evidentemente sono riuscita anche a girarmi senza cadere.
Facciamo colazione e finalmente ritiriamo l’auto. Ho freddo. Il termometro segna 7 gradi, a Milano ce n’erano 30. Indosso i calzettoni, il maglione e le ballerine vengono rimpiazzate dalle scarpe da trekking.
La Renault Clio a noleggio è abbastanza comoda. Ale prende subito confidenza con la guida a sinistra. Sono le 6:30 e siamo già a Dublino. Facciamo un passeggiata per le vie inanimate del centro.
Riprendiamo l’auto. Ale guida, ma io non riesco proprio a tenere gli occhi aperti. Ci fermiamo per un sonnellino. Un po’ più presenti riprendiamo il viaggio fino alla Silent Valley. 

Il parco offre una serie di sentieri di varie lunghezze che attraversano la valle. Dopo la calura estiva, prendiamo, finalmente, una boccata di aria fresca. Ci fermiamo sulle sponde di un piccolo laghetto ad osservare qualche paperella ed io mi addormento di nuovo sulla panchina.
La nuova sosta è al Tollymore Forest Park, un altro parco ricco di sentieri. Decidiamo di percorrere quello che segue il fiume. Lungo il tragitto incontriamo qualche cascatella, attraversiamo ponticelli, ed ammiriamo alberi secolari.

Riprendiamo la strada di direzione Killyleagh. Penottiamo al Dufferin Coaching Inn & Hall. Notte tranquilla.

5 agosto
Sono pronta per la colazione. Nel piatto dei vicini di tavolo ci sono due invitanti fette di salmone con uova strapazzate. Rinuncio alle uova, ma non mi lascio scappare il salmone: una colazione insolita, ma decisamente saporita.
La giornata inizia con una tappa alla decadente Grey Abbey e al suo deprimente cimitero; a seguire, una passeggiata rigenerante attraverso il rigoglioso parco dei marchesi di Londonderry: Mont Stewart. 

La tenuta è curata nei minimi dettagli. Passeggiamo lungo la stradina che circonda il laghetto popolato da germani e ninfee. Ammiriamo i colorati giardini, le fontanelle e i giochi d’acqua. Lo spazio è vasto, la visita ci tiene occupati fino a mezzogiorno.
Percorriamo altri chilometri per raggiungere la costa nord. Puntiamo il navigatore verso Bregagh road: la strada affiancata da faggi secolari, diventata famosa come ‘la strada del Re’, grazie alla serie ‘Trono di spade’. I rami degli imponenti alberi che costeggiano la via si incrociano creando un tunnel naturale molto suggestivo. Oggi molti turisti e diverse auto percorrono la strada e c’è tanta luce ma, senza gente e con i colori dell’alba o del tramonto, l’atmosfera sarebbe completamente diversa.
Proseguiamo verso la cittadina di Ballycastle alla ricerca di una camera. Lasciamo gli zaini al ‘Ballycastle Backpackers’ e andiamo diretti al ponte di corde (carrick-a-rede). Il parcheggio è pieno ed è quasi l’ora di chiusura. Non ci è concesso salire sul ponte, ci accontentiamo della splendida vista su scogliere e faraglioni.
Proseguiamo verso le Giant’s Causeway, il pezzo forte di questa vacanza. Dal numero di macchine parcheggiate immaginiamo già l’affollamento, ma oggi è sereno e non vogliamo rimandare la visita. Abbiamo imparato che in Irlanda quando non piove bisogna approfittarne; ‘di doman non c'è certezza...’. Camminiamo per una ventina di minuti per raggiungere le scogliere. Come sospettato la gente è davvero tanta, ma la particolarità della costa riesce comunque a rendere il paesaggio indimenticabile. Cammino su un pavimento composto da esagoni di basalto, osservo la perfezione delle forme geometriche. Il sito è grande, la penisola si allunga verso il mare creando promontori che sembrano sculture di pietra nera. Avevo visto qualcosa del genere in Islanda, ma questa bellezza si aggiudica il mio primo premio come miglior opera della natura mai vista fin’ora. Il sole sta per tramontare, ma i turisti non cedono. Lasciamo il sito con la promessa i tornarci domani all’alba (se riuscirò a svegliarmi).
Ceniamo in un localino accogliente nel centro di Ballycastle (Central bar). Soddisfatti dell’ottimo piatto di stufato di manzo con purea di patate, carote, rape e broccoli ritorniamo in camera per la nanna.

6 agosto
Ale si sveglia prima dell’alba per una scappata alle Giant’s Causeway. Lui ce la fa, io, nonostante i buoni propositi, non riesco a scendere dal letto fino alle 8.

La barca per Rathlin Island salpa alle 9:30, proprio quando incomincia a piovere. L’oceano è nero, il cielo è carico di nuvole. Scruto l’orizzonte in cerca di un raggio di sole, ma perdo ogni speranza. L’attraversata dura venticinque minuti. Giunti all’isola saliamo sul bus che raggiunge l’estremità occidentale. Avremmo voluto farla a piedi, ma la pioggia e il vento gelido ci hanno fatto cambiare idea. L’autista ha i capelli bianchi, il viso paonazzo e sbiascica parole incomprensibili: conosce molto dell’isola e racconta aneddoti che fanno sorridere anche se noi fatichiamo a comprendere.
Al faro c’è un punto di osservazione. La scogliera brulica di vita: riusciamo a vedere qualche fulmaro, una beccaccia di mare e molto, molto in lontananza, una ventina di pulcinelle di mare. Il paesaggio sarebbe incantevole se non fosse per il cattivo tempo e il vento gelido che spara gocce ghiacciate sul viso.
Riprendiamo il bus e scendiamo in prossimità di una spiaggia che accoglie una piccola colonia di foche grigie, restiamo seduti sugli scogli ad osservarle mentre giocano in acqua; pranziamo alla Manor House Rathlin, ma io non apprezzo il tacchino con le verdure bollite. Approfittiamo di una schiarita per ritornare alla Mill Bay, la spiaggia delle foche; questa volta ne troviamo una che riposa sulla scogliera. Non siamo molto distanti e riusciamo a vederla proprio bene.

Ricomincia a piovere, ci rintaniamo nell’unico pub dell’isola. Per me del te, per Ale una pinta. La cameriera ci informa che c’è un inconveniente con la barca delle 15:00, ci avviciniamo al porto nonostante il forte acquazzone. Siamo completamente fradici, ma la cosa che fa più rabbia è che, arrivati al porto, la pioggia cessa e lascia spazio a un vento gelido che ci incolla addosso i pantaloni bagnati.
La barca per il ritorno salpa alle 15:30 e il sole ritorna a splendere. Giunti alla camera del Ballycastle Backpackers ci facciamo una doccia bollente e poi usciamo a goderci la serata soleggiata.
Ci sembra un peccato perdere il tramonto in spiaggia, quindi, decidiamo di prendere l’auto per andare alla White park beach. Oggi con il tempo siamo proprio fuori fase: non appena mettiamo piede in spiaggia il cielo si oscura e ricomincia a piovere, ma questa volta abbiamo l’ombrello!
Cena in camera con panino e patatine. Notte tranquilla a parte il piumone di duecento chili che caccia un caldo incredibile.

7 agosto
Sono le 5:00 siamo già pronti per partire. Il paese dorme, le strade sono deserte. Ritorniamo alla strada dei faggi (The dark hedges), nella speranza di trovarla deserta ma, cinque fotografi hanno avuto la nostra stessa idea. Il plotone è già schierato con tanto di cavalletti e teleobiettivi. L’alba stenta ad arrivare, un nuvolone grigio oscura il sole che oggi non si concede facilmente. Ci alleiamo, spariamo una foto nonostante la luce non sia l’ideale e decidiamo di non perdere altro tempo in caccia di quello scatto che ormai è diventato troppo inflazionato.

Il nuvolone si dissolve e il sole torna a splendere. La luce di questa fresca alba è spettacolare. Lasciamo l’auto e ci incamminiamo lungo il sentiero costiero che, in lontananza, sembra essere inghiottito da un buco che attraversa la verdeggiante falesia. 

Gli scogli sono scivolosi e il sentiero è inzuppato dalla pioggia di ieri. L’oceano è calmo e l’acqua luccica. Il buco si rivela una galleria scavata appositamente per lasciar passare il sentiero, il cammino scende e prosegue per altri chilometri, noi rinunciamo a proseguire perché vogliamo riprovarci col ponte di corde prima dell’invasione dei turisti.
Il parcheggio è ancora deserto; il sentiero che porta all’isola collegata alla terraferma dallo spaventoso ponte corre lungo la costa per circa un chilometro. Qualche coniglietto saltella tra i sassi, gabbiani irrequieti volteggiano sopra le nostre teste. Giungiamo al ponte. Fortunatamente, un cancelletto ben saldo evita alle teste calde di scavalcarlo. C’è una fune che scende a lato del cancello, non voglio immaginare a cosa possa servire. Ero partita con intenzioni coraggiose, ma la mia paura del vuoto mi fa vedere il ponte, l’isolotto e il sentiero ancora peggio di quello che sono. Angosciata, mi allontano nella speranza che ad Ale, aggrappatosi alla corda per scattare foto, non venga qualche strana idea.

Riprendiamo l’auto, superiamo le imponenti rovine del Dunluce Castle e facciamo una sosta al Downhill Demesne. L’estesa collina ventosa mi ricorda un altopiano alpino. In fondo al verde, il Mussenden Temple sorveglia la magnifica spiaggia di Benone. 

Visitiamo quello che rimane delle rovine della Downhill House e ritorniamo a passeggiare nell’erba. Una rondine vola bassa intorno a noi, come se volesse cacciarci, il cielo si oscura e qualche goccia di acqua ci ricorda che siamo in Irlanda.
Lasciamo l’Irlanda del Nord con il ‘ferry’ che attraversa lo stretto di Magilligan. Eccoci nel Donegal. Imbocchiamo la strada costiera denominata ‘Wild atlantic way’ e ci troviamo in un sali e scendi di strette stradine che attraversano paesaggi rurali ricoperti da piante di fucsia fiorite.
Ale fotografa, io mi abbiocco sull’assolata spiaggia di Kinnagoe. Paonazza, ma decisamente riposata, risalgo in macchina per farmi trasportare fino alla fantastica baia di Pollan. La marea è ritirata e la spiaggia è immensa. Lasciamo le dune per raggiungere la battigia. Scavalchiamo pozze di acqua tiepida e scogli neri ricoperti da alghette che sembrano capelli verdi fluorescenti.


In fondo, oltre le onde spumeggianti, cinque faraglioni neri compaiono dalle acque: li chiamano ‘Five fingers’ e, con un po’ di fantasia, sembrano dita di un piedone. Le dune sono ormai distanti. Mi fermo divertita ad osservare l’acqua di due pozze che si unisce a vista d’occhio e realizzo che l’evento non è cosa buona. Una donna corre a richiamare i figli che si sono allontanati troppo. Ci rendiamo conto che la marea sta salendo velocemente. Ritorniamo alle dune, mi arrampico per vedere la spiaggia dall’alto e mi accorgo che non è poi così facile scendere. Provo la tecnica del sedere a terra, ma l’orzo delle sabbie, che ricopre la cresta della duna, punge da matti. Non mi resta che buttarmi  giù dalla riva. Con un po’ di gesti di equilibrio ritorno sulla spiaggia.
E’ ora di preoccuparsi della nanna. Il B&B ‘Malin head view’ ha una bella cameretta per noi. Lasciamo gli zaini e facciamo una scappata al ‘Malin Head’ e poi nella piccola cittadina di Malin che consiste in un prato triangolare attorniato da una manciata di case.


Entriamo in un pub e, circondati da autoctoni che bevono, ci facciamo anche noi una birretta per tirare l’ora di cena. Prima di ritirarci sono curiosa di vedere la marea dove è arrivata; ritorniamo alla Pollan Bay. Oltre due terzi della spiaggia sono stati ricoperti dalle acque. Che stranezza! Non mi era mai capitato prima di vedere un evento simile.

8 agosto
Solita lotta con il piumone. Mi sveglio scoperta e con il cuscino a terra. E’ stata davvero dura...
La signora del B&B è così gentile che non riusciamo a rifiutare la sua colazione. Evitiamo il black pudding (tipo sanguinaccio), ma salsiccette, bacon e uovo al tegamino ci toccano.
Il panorama dietro alle vetrate della sala da pranzo è fantastico: una siepe di ortensie rosa fa da cornice a praterie estese popolate da mucche e pecorelle. Sopra al verde due linee nette: blu mare e azzurro cielo. Il cielo in Irlanda non è mai completamente sgombro, ma oggi, dai vasti spazi di sereno, emergono vaporose nuvole bianche.
Riprendiamo il percorso lungo la ‘Wild atlantic way’. Attraversiamo brughiere, valichiamo passi desolati, scendiamo strade ripide che terminano in spiagge dorate fino a raggiungere la punta più a nord dell’Irlanda: Horn Head.


Camminiamo lungo le scogliere e respiriamo l’aria fresca e pura che dall’oceano sale, pettina le distese di erica e riempie i nostri polmoni. Nessuna distrazione intorno a noi.
L’oceano che tocca la costa occidentale è popolato da isolotti abitati.


I caldi colori del pomeriggio danno risalto alla sabbia dorata che avvolge il litorale. Sostiamo per qualche foto e per qualche ventata decisamente fresca. Non siamo del tutto soli: mucche pezzate e pecorelle dalla testa nera si danno da fare per tenere ben rasato il prato.
Si è fatto tardi e ci fermiamo a Glassagh per cena e nanna al ‘Teac Jack’: l’unico alberghetto della zona. Cena chiassosa nel pub e notte travagliata causa piumone e serenata.

9 agosto
I ragazzi brilli che ci tengono svegli per una serenata stonata cedono attorno alle tre. Riusciamo finalmente a chiudere gli occhi. Dopo l’ennesimo, fuorioso, litigio con il piumone, mi addormento coperta da un lenzuolo e un asciugamano. Sono le 7 quando decidiamo di lasciare la camera.
Maciniamo una settantina di chilometri  per arrivare a ‘Slieve League’, la punta più a ovest del Donegal. Dopo aver lasciato l’auto, camminiamo una buona mezz’ora per raggiungere la costa. E’ ancora presto e le uniche compagne di cammino sono delle timide pecore. Qualcosa si arrampica sulla collina, ma non riesco mettere a fuoco: sembra una volpe, ma non ne sono sicura. Cosa sarà?
Slieve League è un promontorio roccioso ricoperto da erica ed erba. Le grigie scogliere si immergono nelle acque gelide e profonde. Un peschereccio vermiglio lascia una scia bianca nell’immenso blu.


Sentiamo, nel silenzio, il sibilo del vento e le grida dei gabbiani che volteggiano attorno al peschereccio.
La fotografia di una strana pietra pubblicata sull’opuscolo informativo dedicato all’isola di Boa richiama la nostra attenzione. L’isola offre solamente un panorama lacustre e un cimitero antico. Erba, lapidi e sassi ricoperti di muschio circondano due pietre scolpite. La guida dice che si tratta della rappresentazione di idoli celtici e risalgono all’ottavo secolo. Le figure sono indubbiamente misteriose e insolite e mi lasciano senza parole.


La cittadina di Armagh è il regno di San Patrizio. Visitiamo la cattedrale protestante. Un cartello che suggerisce di chiedere la password per il Wi-Fi al pastore-bigliettaio ci fa sorridere, ma il sorriso si trasforma in vera e propria risata quando il cellulare del pastore si mette a suonare e lui risponde con nonchalance.
Altri chilometri. Armagh non ci soddisfa così tanto da passarci la serata; superiamo il caotico Newry e ci addentriamo nella verdeggiante penisola di Cooley. Mentre siamo fermi per consultare la mappa un uccellino con la testolina rossa e le ali gialle sta facendo scorpacciata di cibo poco distante da noi. E’ il primo cardellino che incontriamo in questa vacanza.
L’ufficio turistico di Carlingford sta per chiudere ma l’impiegata si fa in quattro per trovarci un B&B. Lasciamo gli zaini al Shalom B&B, che nel giardino tiene un enorme leprechaun (lo gnomo tipico delle leggende irlandesi), e ritorniamo in centro per la cena.


Ormai sono scettica sui gusti culinari degli irlandesi: leggo diversi menù prima di decidere di cosa morire ma non trovo proprio nulla di mio gradimento. Decido di saltare la cena e osservo Ale che ingurgita un misto di patatine, pollo fritto, formaggio fuso, salsa rosa e maionese.

10 agosto
La notte è molto silenziosa e questo piumone è più clemente. Mi sveglio con un raggio di sole che si fa spazio tra le tende. Anche oggi il tempo è buono. Facciamo colazione con tanto té, latte, pane, burro, marmellata e musica lirica spagnola che, decisamente, rovina l’atmosfera.
Lasciamo Carlingford per avvicinarci all’aeroporto. Lungo la strada, l’indicazione per Monasterboice suggerisce una sosta al sito monastico. Grandi e pregevoli croci celtiche del decimo secolo hanno reso questo cimitero un’attrazione turistica. La ‘High Cross di Muiredach’ è considerata la croce esteticamente più bella di tutta l'isola: non ne ho viste molte altre, ma la sua imponenza e le sue decorazioni ben conservate attirano indubbiamente l’attenzione. Passeggio tra lapidi e croci. Fotografo qualche fregio.


Il primo paese lungo la strada che porta a Dublino è Drogheda. Passeggiamo lungo la via principale alla ricerca di qualche souvenir, ma i negozietti dalle facciate variopinte e dall’aspetto invitante, offrono le solite brutte cose. Fatico trovare qualcosa originale e, soprattutto, carino.
Il quartiere Drumcondra di Dublino è ricco di angoli verdi. Decidiamo di passare le ultime ore in Irlanda passeggiando per il lussureggiante Giardino Botanico. Nei dintorni, un localino molto carino (McMahon’s) serve panini e dolcetti invitanti: è decisamente primo il panino squisito che mangio in questa vacanza; così buono da chiudere un occhio quando dopo aver ordinato una ‘ciabatta’ mi ritrovo una focaccina. Ottimo anche il brownie con la panna fresca.
Le serre del giardino botanico sono opere d’arte. Passeggio tra piante e fori di ogni genere, ma non riesco a smettere di guardare in alto tra quelle armoniche forme di ferro e vetro.


L’erba è fitta e di un colore verde acceso e dalle aiuole spiccano i colori di varie specie fiorite. Sotto l’ombra di un acero uno scoiattolo goloso si avvicina in cerca di cibo. Non ho nulla per lui; deluso, ritorna sull’albero. Una farfalla dai colori accesi svolazza tra gli anemoni giapponesi mentre un passerotto si rinfresca sul bordo di una cascatella.
Il giardino è molto grande e il tempo passa tanto velocemente da costringerci ad allungare il passo. Il traffico della città è moderato e raggiungiamo l’aeroporto in pochi minuti. L’aereo decolla. Siamo a Milano, attraversiamo densi nuvoloni neri, carichi di pioggia. Scariche di lampi illuminano il cielo. Il tempo qui è decisamente peggio di quello che abbiamo lasciato.

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