sabato 8 giugno 2013

Islanda: terra acqua aria fuoco

Dopo anni di interminabile attesa finalmente è arrivato il giorno della partenza per quella che da almeno 15 anni è stata la nostra meta dei sogni. Prima c'era Davide troppo piccolo per goderci pienamente la vacanza, poi i dubbi: viaggio organizzato costosissimo con geologo e superjeep oppure singolo? Nave + camper oppure aereo + auto + hotel? Eccoci ad una decisione (rivelatasi a fine viaggio più che saggia) aereo + furgone 4x4 camperizzato!

8 giugno
Il volo Icelandair delle 17.30 decolla con 30 minuti di ritardo. Sono le 20 (ora locale) quando, dopo aver attraversato ben tre dense coltri di nubi, atterriamo al modesto, ma all’avanguardia, aeroporto di Reykjavik. Ad accoglierci un gruppo rock di grintosi ragazzini biondi intona le note della canzone dei Daft Punk. Restiamo ad ascoltarli nell’attesa di incontrare il nostro ‘car-rental’ (link). Dopo un po’ di attesa ecco arrivare una signora sorridente (sarà perché è islandese, ma a me è subito simpatica!) Raggiungiamo il marito che ci attende nel furgone e percorriamo i 35 chilometri che separano l’aeroporto da Reykjavik. Sono molto felice: il cielo è bigio, l’autostrada attraversa una landa desolata, ma io sono in Islanda e mi sento comunque in paradiso!  Già da lontano scorgo la Hallgrímskirkja che domina su tutti quegli edifici squadrati dal tetto multicolore: eccola, la chiesa che per anni ho visto sulla mia raccolta di libri, brochures e ogni cosa parlasse dell’Islanda, eccola... esiste davvero!!! Non si viene in Islanda per l’architettura, questo lo sapevo, le case sono molto essenziali, invidio solo le grandi finestre e cerco di allungare il mio sguardo aldilà delle tendine in pizzo finto per curiosare un po’ nell’intimità di questa gente.

Vista dal B&B
La famiglia che offre servizio navetta, b&b per la prima e l’ultima notte di soggiorno e noleggio del furgone camperizzato, vive in uno dei parallelepipedi ai piedi della chiesa, d’obbligo togliersi le scarpe prima di entrare e d’obbligo togliersi giacca e maglione perchè in casa fa un caldo boia... (il riscaldamento geotermico costerà poco). Scambiamo quattro chiacchere con la signora Sigrún Unnsteinsdóttir e ci corichiamo (visto che per noi sarebbe mezzanotte). Oscuriamo le finestre e buona notte!

9 giugno
Nonostante l’appuntamento per la colazione sia alle 8 siamo già svegli alle 6.30. Sfogliamo i libri fotografici sull’Islanda a disposizione degli ospiti e tiriamo l’ora. Dopo la sostanziosa colazione eccoci al nostro primo incontro con il ‘mezzo’: un giallissimo Volkswagen Transporter 4x4 con tanto di tetto azzurro con nuvolette. Mezzo da intendersi come ‘mezzo camper’... perchè l’allestimento consiste in: una borsa frigo inchiodata al pavimento, un mobiletto minimal con catino x l’acqua e fornelletto da campeggio, panchette-letto e asse di legno trasformabile in tavolo. Sigrún ci fornisce di stoviglie, biancheria da letto, tanica d’acqua ad uso rubinetto e navigatore. Bhè, abbiamo tutto... basta solo organizzarsi... Ale alla guida se la cava come un trattorista al suo primo impiego. Nonostante il primo impaccio il ‘mezzo’ si muove, eccoci sulle strade islandesi! Cercando un supermercato per fare un po’ di scorta ci imbattiamo nella chiesa dalle forme che ricordano una serie di colonne di basalto; ne approfittiamo per una visita.

La facciata dell'Hallgrímskirkja
Prendiamo l’ascensore che raggiunge la cima del campanile e scattiamo qualche foto sui tetti della città. L’interno della chiesa è abbastanza spoglio, ma dedichiamo qualche minuto ad ascoltare un giovane che suona il maestoso organo a canne. All’uscita diamo un salutino alla statua di Leif il Felice, l’esploratore vichingo che per primo scoprì l’America, e riprendiamo la nostra ricerca del supermercato. Spesona di 180 Euro che - spero - basterà per tutta la vacanza, ed eccoci pronti a lasciare ogni comodità. Per oggi prevediamo di percorrere quello che è detto il ”Circolo d’Oro”. Il tempo non è granchè, ma non piove e questo è già tanto. Il primo monumento che incontriamo è Þingvellir: una pittoresca vallata immersa in un ondulato paesaggio di colate laviche. Qui è possibile vedere il rift tra la zolla nordamericana e quella europea e attraversare una serie di spettacolari spaccature. Il centro visitatori proietta filmati esplicativi del fenomeno che sta portando le placche ad allontanarsi l’una dall’altra di ben un millimetro all’anno. Ale e Davide si fanno una bella passeggiata mentre io mi scontro con l’essenzialità del camper nel cercare di costruire il tavolo e cucinare un po’ di pasta con il pesto. Dopo il pranzo - comunque riuscito - proseguiamo per raggiungere la famosa valle del Geysir. Da lontano avvistiamo i fumi che si alzano dalla terra rossastra.

Strukkur in ebollizione
Un sentiero conduce attraverso le fumarole al Litli Geysir: una pozza dove l’acqua ribolle in continuazione e poi allo Strokkur, il protagonista del parco: una fenditura nel terreno che butta fuori e  risucchia acqua dal colore turchese per poi esplodere in uno spettacolare spruzzo che raggiunge i 35 metri. Lo spettacolo avviene ogni 10 minuti circa così, dopo aver ammirato altre sorgenti dalle tonalità psichedeliche, ritorniamo allo Strukkur per goderci un altro sbuffo. Là, in un angolo appartato, Geysir, un tempo vero protagonista del parco, sonnecchia... ma in questa terra dove tutto è così precario io mi aspetto da un momento all’altro qualche sorpresa! Le meraviglie del Circolo d’Oro si completano con Gullfoss, la roboante cascata che si è aggiudicata il titolo di più famosa d’Islanda.

Uno dei salti della stupenda cascata
Il tempo è pessimo tira vento ed una fitta pioggerellina si confonde con gli spruzzi della cascata, ma lo spettacolo è comunque memorabile. Gullfoss sembra finta tale è la sua imponenza. Un sentiero porta fino al suo fianco da dove ci si perde nella vasta nube di vapore per poi arrivare fino alla cima dove le impetuose acque si preparano ad affrontare un salto di ben 32 metri. Ormai è sera, anche se c’è molta luce, passiamo la notte qui.

10 giugno
Nonostante qualche difficoltà nel sistemarci siamo comunque riusciti a dormire. Silenzio assoluto di ogni presenza umana, udiamo solo le insolite chiacchere di specie sconosciute di uccelli - tra cui anche quella di un inquietante enorme corvaccio nero - ed in lontananza il roboante canto della cascata. Questa mattina il cielo ci regala un raggio di luce, ne approfittiamo per una seconda visita a Gullfoss e allo Strokkur che questa mattina però ci pare un po’ più sonnolento (dipenderà dalla pressione atmosferica?). A Pingvellir tentiamo una scorciatoia per raggiungere più velocemente l’ovest, ma l’asfalto abbandona la strada per lasciar posto ad un terreno nero, comunque consistente che poi sfuma in un terreno rossastro meno consistente. La strada si fa stretta ed impervia ed un cartello scoraggia l’utilizzo di mezzi 2WD. Non siamo certi delle capacità del nostro 4x4 quindi optiamo per la strada più lunga. Lasciamo la n. 1  per la n. 54 che si addentra nella Penisola di Snæfellsnes. La prima attrazione che incontriamo è Gerðuberg; la lunga costa formata da colonne basaltiche dritte come righelli, la strada prosegue variando i toni dal grigio al mattone per raggiungere le due cupole di terra rossa del Rauðukúlur che colpiscono molto per la loro forma simmetrica e la particolare tinta. E’ il nostro primo incontro con le stranezze di questa terra e siamo esterefatti: ci sembra di essere sbarcati su marte!

Marte chiama terra... ci ricevete?
Io sono particolarmente attratta dal Silene Acaulis che su paffutelli cuscinetti di velluto verde schiude i suoi fiorellini rosa intenso.

La Silene Acaulis è una delle poche piante che vediamo sulle pendici dei coni vulcanici
Il vento sibila e in poco tempo porta sopra le nostre teste nuvoloni carichi d’acqua. Dopo una passeggiata nell’inverosimile riprendiamo il camperino, che incomincia a piacerci per la sua agilità, e percorriamo la n. 54 fino alla distesa lavica di Búðahraun nella quale, in un’oasi di collinette ricoperte di muschio, è incastonata la magica chiesetta nera di Búðir.

La chiesa nera nel suo particolare paesaggio
Sostiamo al suo fianco e percorriamo il sentiero che conduce fino alla scogliera facendo bene attenzione a non lasciare il tracciato per paura di essere inghiottiti dalla terra. L’aspetto della superficie lavica con le sue cavità e protuberanze ricoperte da vegetazione appare misterioso e il grigiore del cielo ci inducono a pensare che da un momento all’altro ci si presenti un elfo o chissà quale altra creatura misteriosa. Raggiunta la sabbia arancione e la scogliera nera facciamo ritorno alla nostra abitazione su ruote per trascorrere la luminosa notte in compagnia del canto degli uccelli.

11 giugno
Il tempo non è migliorato, ci tocca lasciare Búðir nel grigiore. La n. 54 percorre l’intero giro della Penisola portandoci ai piedi dello Snæfellsjökull che oggi nasconde il suo cratere tra le nubi confondendo il candore della calotta glaciale nel bianco del cielo.

Il vulcano raccontato da Jules Verne in Viaggio al centro della terra
Attraversiamo paesaggi aspri, quasi lunari, fermandoci di tanto in tanto per una passeggiata sotto la pioggia che, per qualche minuto cade pure in orizzontale. Ecco ora che ricompare un raggio di sole, le distese laviche ricoperte di muschio si fanno di tonalità fluorescenti che vanno dal giallo al verde. La terra è nera, a tratti rossa. Ale e Davide, sfidando il vento, scalano la rugginosa parete del Saxhóll e mi portano fotografie spettacolari della veduta.

La salita al cratere Saxhóll
Non siamo del tutto soli; ogni tanto da qualche masso fa capolino il musetto di qualche agnellino che, spaventato dalla nostra presenza, corre appresso alla sua mamma.

Ci stanno studiando... scappo o non scappo?
Dopo ore ed ore trascorse nella natura ecco il piccolo centro abitato di Hellissandur. Ne approfittiamo per il pieno di carburante, per prendere qualcosa di commestibile ed un magnifico maglione in lana merinos dai tipici motivi. Un cartello avverte di fare attenzione agli uccelli ed è qui che abbiamo il nostro primo incontro con la Sterna Paradisea che, per difendere il suo nido, è disposta a tutto, persino a gettarsi in picchiata sulla testa del malcapitato.

Meglio non avvicinarsi troppo...
Osserviamo dal finestrino queste eleganti creature e comprendiamo il significato del cartello: sono numerosissime e volano ovunque! La costa settentrionale di Snæfellsnes è un susseguirsi di paeselli abbastanza civilizzati. Grundafjörður è immersa in un paesaggio spettacolare: il picco conico del Kirkjufell, che purtroppo è avvolto da una coltre di nebbiolina.

La giornata non volge al bello
Giunti a buon punto del giro ecco una sorpresona: la strada diventa sterrata. Dobbiamo per forza affrontarla: o quella, o dietro front... Non è il caso di rifare tutto il giro quindi siamo costretti a decidere per lo sterrato. 100 km di strada sassosa non passano più... Incontriamo pochissimi pazzi che hanno optato per questa soluzione! La strada costeggia l’enorme fiordo offrendo una vista monotona su mare e prateria, pecore e agnelli per poi rigettarsi, dopo l’anonimo paese di Buðardalur, nella steppa, nei sassi, nella fitta nebbia... Non ne possiamo più!!! Finalmente la n. 1... l’effetto frullatore è finito! Sostiamo per la notte in un erboso e molto umido campeggio di Havammstangi. Notte piovosa.

12 giugno
Finalmente un timido raggio di sole! Ormai collaudati per gli sterrati decidiamo di percorrere il perimetro della Penisola di Vatnsnes ammaliati dalla foto del musetto di una foca pubblicato su una brochure. Percorriamo altri chilometri tra praterie, cavalli, pecore e mare; poi, finalmente, un cartellino segnala la spiaggia dalla quale è possibile avvistare le foche. Fa freddino... (6°) mi sto pure beccando un bel raffreddore, ma resisto; mi avvicino il più possibile al mare e vengo ripagata dalla vista di un gruppetto di simpatici esemplari di foca grigia lì proprio sull’isolotto dinnanzi a noi. Non sono vicinissime, ma riusciamo comunque a vederle bene.

Vi ho beccato!
Un piccolo si avvicina alla spiaggia dilettandosi in acrobazie acquatiche mostrando musetto, panciotta e pinne, bhè, insomma, la noia dello sterrato è già dimenticata! Lasciamo le foche per concludere il giro della Penisola con una vista sullo strano Hvìtserkur: un faraglione dalla forma alquanto bizzarra. La leggenda narra che sia un troll sorpreso dal sorgere del sole quindi trasformato in pietra... mi piace pensare che sia vero...

Cosa vogliono questi forestieri?
Rieccoci sulla n. 1, la steppa lascia posto a praterie con tanto di fattorie, cavalli e fiorellini di tarassaco, lupini e violette. Il grigiore, spinto dal vento, se ne va mostrando un angolo di cielo blu intenso. Raggiungiamo la caratteristica fattoria dal tetto in erba di Glaumbær.

Le casette con il tetto in erba
Sosta, pranzo e giretto tra le 12 casette in torba dalle piccole finestrelle bianche. Riprendiamo dunque il viaggio per Akureyri (link). Il clima è notevolmente cambiato: ora ci sono 15° e la gente è in tenuta estiva. La cittadina è notevole, direi carina, con le sue casette dai vari colori...

Una sosta nella civiltà
Al porto c’è una nave da crociera attraccata, che ospita più persone che non l’intero paese. Ecco il primo semaforo della vacanza... ed è pure rosso, ma... sorpresa!!! Il rosso ha la forma di un cuore!? Bhè?! E’ normale? Si, si lo è: anche il secondo ha la stessa forma... fantastico! Questi islandesi mi piacciono da morire! Passeggiamo per la via del centro. Curiosando tra i negozi mi faccio un’idea della creatività islandese che porta alla realizzazione di oggetti d’arte molto diversi dai nostri; un po’ cupi ed essenziali, ma spesso belli e sicuramente originali. La giornata non è ancora terminata: la nostra prossima tappa è Godafoss. La cascata è stupenda, la luce ora però è pessima: il blu se n’è andato per lasciar posto ancora una volta alla foschia rendendo il cielo bianco.

Stupenda cascata ma il tempo non è stato clemente...
Delusi dal tempo non ci dilunghiamo e proseguiamo verso il lago Myvatn (link), dove, ancora una volta, torna a splendere il sole. Restiamo colpiti dai piccoli coni erbosi che stanno intorno al lago: dapprima pensiamo che si tratti di un campo da golf, poi scopriamo che un sentiero conduce attraverso l’area naturale ed apprendiamo che si tratta degli pseudo crateri di Skútustaðir. Sono le 19, il sole è ancora alto, ma la luce si scalda e dona alle collinette dei magnifici toni dorati. Il lago è blu e i sentierini neri come la lava. Tira vento, ma ormai ci siamo abituati. Il paesaggio è di un’aspra bellezza, alquanto seducente. Le tranquille acque del lago costellato da isole e isolotti, perlopiù pseudocrateri originati dalle esplosioni di gas prodottesi dal passaggio della lava fusa nell’acqua, pullulano di vita... avvistiamo uno Svasso Cornuto e altre specie di anatre mai viste fin’ora. La cittadina di Reykjahlið ci pare un’oasi meravigliosa dopo aver attraversato così tante lande desolate! Ci sistemiamo al Bjarg Campsite e vi trascorriamo la notte.

13 giugno
Il camping sembra un raduno di mezzi estremi. Attorno a noi almeno una decina di superjeep con cellula abitativa e qualche camion adattato a camper.

Quanto pagherebbe il mio maritino per avere uno di questi mezzi!
Da qui è possibile addentrarsi nelle piste interne che ahimè e ahiloro sono ancora chiuse causa neve... La mattina è bigia. Noi siamo diretti all’Hverfjall: un cono di roccia vulcanica. La stradina che conduce alle sue pendici serpeggia nel campo lavico. Qui il nero prevale su tutto, nera la strada, neri i dintorni, nero il cono... ma ancora una volta i miei cari cuscinetti di muschio con i fiorellini rosa sono lì a ravvivare il paesaggio. Il sentiero che porta al cratere raggiungendo i 463 metri di altitudine è abbastanza ripido, ma la vista sul fondo del cratere ripaga la salita.

Paesaggio lunare
Sembra di camminare su un cumulo di cuscinetti a sfera. Passeggiamo un po’ (volendo il sentiero compie il giro completo) e riscendiamo per raggiugere il parco dei ‘castelli scuri’: i Dimmuborgir (link). Una serie di sentieri corrono lungo pilastri e spuntoni di lava dalla forma singolare.

Una delle tante formazioni laviche del parco
Fantastico apprendere il modo in cui si sono formati. La guida scrive: “ La lava fluita dallo Hverfjall  trovò uno sbarramento e in questo bacino originò un lago infuocato. Quando la superficie del lago si raffreddò si formò una volta a cupola sul materiale sottostante ancora fuso. Quando lo sbarramento si ruppe la lava fusa defluì gradualmente lasciandosi dietro i singolari pilastri”. La formazione più interessante è quella chiamata Kirkjan; il suo interno ricorda una cattedrale gotica dal soffitto a volta. Oltre che da questa meraviglia della natura io, come al solito, sono ancora più attratta dalla storiella che raccontano ai bambini. Qui abitano gli Yulemen! “Gli Yuleman sono 13 fratelli, in parte troll e in parte umani. I loro genitori erano due tremendi troll che infastidivano e divoravano i bambini disubbidienti. Si burlavano degli umani e li derubavano. Ognuno di loro ha una preferenza, c’è chi ruba il cibo di Natale, chi le candele e dall’oggetto del furto deriva il nome che viene dato allo stesso Yulemen. Oggi gli Yulemen si sono trasformati in portatori di piccoli doni. A partire dalla notte del 12 dicembre, prima del loro arrivo, sul davanzale di tutte le finestre dei bambini islandesi, compaiono delle piccole scarpe. Se si sono comportati bene, lo Yulemen del giorno lascerà un regalino, in caso contrario troveranno una patata, oppure nulla del tutto. Allo stesso tempo, i bambini contraccambiano: prendendo spunto dal loro nome lasciando una salsiccia al ’cacciatore di salsicce’, una candela per il ‘mendicante di candele’, del latte di pecora per il ‘ladro del latte’ e così via...” Con questa fantasia lasciamo i Dimmuborgir e gli Yulemen per andare alla ricerca della sorgente termale di Grjotajà. Una spaccatura della crosta lavica, segnalata da un cartello poco incoraggiante che avvisa della recente caduta di sassi dal soffitto e non per l’ultima volta, nasconde un laghetto abbastanza insolito. L’acqua è cristallina, ma il vapore che s’innalza dalla superficie lo rende ben poco idilliaco.

La piccola ma particolare grotta
Una volta ci si poteva bagnare, ma adesso la temperatura dell’acqua dicono raggiunga i 50°! Il precario soffitto e le strane forme delle rocce che scorgo nell’oscurità mi metto un po’ di fifa... mi dileguo velocemente... Ecco di nuovo il sole. Nel giro di dieci minuti la giornata si è trasformata in uno splendore. A me e a Davide è venuta voglia di un bagnetto caldo e convinciamo Ale a portarci a Jarðböðin (link). Lì, in un invitante pozza di acqua turchese, qualcuno sta già sguazzando. Ci cambiamo in fretta e furia e dopo un’uscita dagli spogliatoi da centometrista per evitare l’aria gelida (siamo a 6°) mi tuffo nelle calde acque rigeneranti.

Bagnetto rigenerante
Fantastico! Sole, cielo blu, acqua turchese e caldino... Sarà davvero dura farmi uscire. E invece, giunge anche il momento in cui il caldo comincia a dare un po’ fastidio; mi sento un cotechino lesso ed ho bisogno di farmi una doccia fresca. Ci vestiamo e ritorniamo al nostro camperino. Questa giornata non vuole giungere al termine, è tutto così bello che non sappiamo aspettare l’indomani e proseguiamo la nostra avventura superando il passo che attraversa cime dai colori impossibili. La terra assume sfumature che vanno dal rosso, all’ocra, al giallo per poi smorzarsi nel bianco e svanire nel vapore che si solleva direttamente dalla terra.

La moltitudine di colori del terreno
Hverarönd è un campo di attività geotermica costellato di pozze di fango, soffioni, solfatare, sorgenti di acqua bollente e fumarole, alcune delle quali piuttosto turbolente. Alcune passerelle conducono i turisti attraverso uno scenario affascinante, ma alquanto infernale. Nei buchi del terreno il fango nero e grigio ribolle creando un effetto spettacolare tanto da far dimenticare la pericolosità della zona.

I fanghi ribollenti
Fumi caldi e puzzolenti ci avvolgono, togliendoci quasi il respiro, sembriamo dei bambini rimasti a bocca aperta ad ammirare tanta forza. Ci perdiamo tra i colori e i vapori. Il sole è ancora alto e questa giornata interminabile ci può riservare ancora delle meraviglie. Puntiamo verso la cima del Krafla: una delle zone vulcaniche più attive dell’Isola. Il cielo si è di nuovo coperto di pesanti nubi, ma il nostro insaziabile spirito avventuriero ci porta comunque a dare un’occhiata al cratere Viti - abbastanza triste - e ad incamminarci lungo il sentiero che conduce a Leirhnjùkur: il minaccioso bacino fangoso incrostato di zolfo dalle acque turchesi. Lungo il sentiero attraversiamo campi lavici abbastanza recenti, nevai, spaccature nel terreno, fumarole e soffioni che si sollevano dall’altura di riolite dai colori pastello.

L'ultima parte del sentiero per raggiungere Leirhnjùkur
Questa volta il freddo per me è quasi insopportabile (siamo a 0°). Camminando mi scaldo, ma giungo al camper intirizzita. E’ questo il momento di fare la festa alle tre buste di cioccolata che ci siamo procurati al benzinaio di Hellissandur. Non è granchè ma almeno scalda... E’ finita questa interminabile giornata? Nooo... Davide insiste per proseguire fino a Dettifoss. Lo assecondiamo... Lasciamo le nude montagne rossicce per addentrarci di nuovo in una pianura grigia di sabbia e sassi. La strada che la attraversa è deserta. Siamo anche un po’ in alto perchè fa  freddo e la strada è chiusa per neve proprio dopo Dettifoss... Finalmente siamo costretti a fermarci.

L'imponente Dettifoss!
E’ tardi, ma Davide insiste per andare a vedere la cascata... io, a malincuore, demordo mentre i due ‘grilli’ se ne vanno pure a vedere la cascata. Dormiamo nel parcheggio in mezzo al nulla dopo aver attraversato chilometri di deserto lavico. Brrrrrrrrr rabbrividisco - e non solo per il freddo.

14 giugno
Alle 00:30 ho aperto gli occhi e sono rimasta incredula ad osservare il sole che splendeva con tutta la sua energia in un manto di nubi pettinato dal vento... Mi mancherà il sole a mezzanotte! La mattina è bigia e la stufetta è indispensabile. Non ho voglia di camminare fino a Dettifoss, è presto e fa ancora freddo. Rinuncio alla visita e riprendiamo la via. Ieri, presi della bellezza del luogo e dal bel tempo, abbiamo corso un po’ troppo e ci siamo trovati a Dettifoss. Sarebbe da ritornare al Myvatn e dedicargli ancora un po’ di tempo - era così bello quel posto -  ma abbiamo percorso tanti chilometri e ci spiace allungare il giro, inoltre il tempo brutto ci convince a lasciare il centro-nord per dirigerci verso nord-est alla ricerca di un po’ di sole. Percorriamo d’un fiato i 150 km di tratto desertico incontrando ben 4 auto e 1 moto. Giungiamo alla cittadina di Egilsstaðir attorno le 10 ed il supermercato ha appena aperto. Facciamo un po’ di provvista e ci reimmergiamo nel verde prendendo la n. 94 che porta a Borgafjörður eystri. Di nuovo sterrato, praterie, cavalli, pecore e agnelli, ma questa volta in lontananza mi sembra di scorgere delle corna insolite. Si, si, sono proprio renne! Ci fermiamo in mezzo alla strada per fotografarle.

Anche montando il tele obiettivo restano troppo lontane per vederle bene
Non diamo fastidio a nessuno... potremmo sostare anche di traverso e nessuno si lamenterebbe: siamo solo noi e questa immensa vallata ricca di acqua erba e aria. La strada sale verso un passo dove il tempo peggiora lasciando posto ad un nebbione che si taglia con il coltello. Vediamo giusto i paletti gialli che indicano la via... null’altro. La strada scende in picchiata, la nebbia si dissolve lasciando intravedere quella manciata di case che compongono Borgafjörður eystri. Giornata bigia. Pranziamo con quelle cose commestibili, ormai venuteci a noia, che abbiamo trovato al supermercato: riso istantaneo, tonno e carote crude e ci riposiamo un po’. Non ci saremmo mai spinti fin qui se non avessimo letto sulla guida che l’isoletta di Hafnarhólmi, collegata alla terraferma da una strada rialzata, ospita una colonia di 10.000 coppie di Pulcinelle di mare oltre a Gabbiani Tridattili, Procellarie artiche e Edredoni. Eccoci qui, increduli, davanti a questi simpaticissimi animaletti. Passiamo il pomeriggio a salire e scendere dalla piattaforma di osservazione.

Centinaia di Puffin si ritrovano su quest'isoletta per nidificare
Le creaturine non hanno paura di noi e si lasciano avvicinare guardandoci incuriositi e noi lo siamo ancor di più. Il loro aspetto è grazioso e buffo con quel corpo simile ad un pinguino, la loro andatura ondulante, le alette corte che sbattono velocissime, il becco triangolare dipinto di rosso, giallo e blu e i piccoli occhi rotondi marcati di rosso e di nero. Che meraviglia! Sono tutti indaffarati a scavarsi la tana nel terreno servendosi del becco e delle zampe ed ogni tanto abbandonano il nido per tuffarsi nel mare e ritornare con il becco colmo di pesciolini luccicanti. Sulla scogliera, incuranti del nostro poco interesse nei loro confronti, i gabbiani sonnecchiano comodi nel loro nido, mentre qualche Edredone galleggia tranquillo sull’acqua. Quanta vita! E’ incredibile come in quest’isola, pur essendo poco presente l’uomo, non ci si senta comunque mai soli! Lasciamo Bakkagerði per riattraversare il passo, ora la nebbia si è levata e godiamo di un meraviglioso panorama sul golfo dove mare, sabbia nera, acquitrini e pianura stepposa si confondono in un orizzonte molto lontano. Decidiamo di passare la notte a Seyðisfjörður (www.sfk.is) sperando di incontrare l’essere umano, questa specie rara...

Non che prima facesse caldo ma ora con la neve sembra proprio inverno!
La strada che porta al paese attraversa un passo ben poco ospitale (siamo a 2°) dove incontriamo molta neve ed un magnifico lago ghiacciato che risplende nel bianco con le sue acque turchesi. Laggiù, tra le cime innevate, ecco la modesta cittadina. Breve sosta per ammirare la graziosa cascata Gufufoss e ci buttiamo in ‘città’ per rifornimento di carburante e sosta nel verdeggiante campeggio.

Di dimensioni modeste (rispetto alle altre che abbiamo visto) ma ugualmente bella
L’intento di incontrare nostri simili non è riuscito, sarà che siamo in bassa stagione, ma non c’è in giro anima viva e nel campeggio siamo soli. Cena e nanna.

15 giugno
Per lo meno non siamo stati disturbati dal vociare dei vicini... Dopo la colazione passeggiamo tra le casette colorate di questo grazioso paesello; visitiamo la piccola chiesetta azzurra ed approfittiamo del ‘posturinn’ per spedire qualche cartolina.

La chiesetta di Seyðisfjörður
Risaliamo il passo e ci lasciamo alle spalle anche questo angolo di isola. Siamo in largo anticipo sul programma e decidiamo di prendere la strada più lunga per il sud zigzagando tra i fiordi dell’est. Il tempo è bruttarello e la luce non rende giustizia alla costa fatta di basse scogliere, praterie e mare. Sostiamo per il pranzo in camper nel villaggio fantasma nei dintorni di Vikurgerði; gli uomini hanno abbandonato definitivamente questa zona. Un capanno desolato espone ancora sulle vetrate uno sbiadito logo Visa. Sarà stato un negozio? Nei dintorni 3 case abbandonate ed altrettante distrutte. Ammassi di sassi e legni ed un cartellino impiantato nel terreno con presumiamo il nome della famiglia che ci viveva. Che desolazione... Lasciamo i fantasmi e ci imbattiamo in un altra casetta abbandonata che ospita nel proprio giardino, dal recinto ormai distrutto, due magnifiche renne. Sostiamo, ci avviciniamo sottovento nascondendoci tra i massi, e riusciamo ad avvicinarle. A dire il vero quando ci guardiamo dritti negli occhi sono un po’ intimorita: non conosco la loro reazione e tento di scappare, ma vedo che sono più spaventate di noi e si danno per prime alla fuga. Bhé, insomma, l’incontro è riuscito seppur per pochi attimi. Ritornando al camper la Pettegola d’Islanda (un uccello particolarmente loquace) tenta di condividere con noi qualche gossip.

Ha sempre qualcosa da raccontare
Pur non comprendendo la sua lingua, siamo costretti a sorbirci un monologo che dura per tutto il cammino. Eccoci di nuovo sulla n. 1 ad attraversare paesaggi unici. La costa si fa più selvaggia: sabbia e scogliere nere sulle quali si infrangono onde violente rendono la scena alquanto drammatica. Lasciamo il camper, che appare come un puntino giallo nel nulla, e percorriamo a piedi lo sterrato un po’ accidentato che porta fino alla spiaggia. Vento e onde nere minacciose si infrangono sui faraglioni scuri. Uccelli dal verso stridulo sorvolano le nostre teste in un cielo grigio gonfio di nubi. Mi sento vuota e libera in questa immensità. Riprendiamo la strada verso sud e il paesaggio si riaddolcisce. Attraversiamo idilliache oasi di specchi d’acqua argentea ed erbetta fresca dove uccelli, anatre selvatiche e pecore trascorrono tranquilli la loro vita. Costeggiamo l’Álftafjörður per poi restare a bocca aperta affacciandoci sull’infinita distesa di sabbia del Lón. Il sole è tornato a risplendere e rende tutto ancor più bello. E’ sera e cerchiamo un posto dove accamparci. Attratti da un cartello che indica bar e campeggio ci infiliamo nello sterrato che porta ad Horn (una lingua di sabbia nera spazzata incessantemente dal vento).

La spiaggia nera di Horn
Putroppo il campeggio è deserto così come lo sono i dintorni e la lingua di terra. Ci piazziamo comunque indisturbati e dormiamo per l’ennesima notte nell’insistente sibilare del vento.

16 giugno
Dopo un’abbondante colazione tentiamo di raggiungere in camper - di scendere non se ne parla per via del vento e dei 5° - la punta della lingua di sabbia, ma le condizioni della strada peggiorano ed abbiamo paura di rimanere insabbiati. Retrocediamo e raggiungiamo Höfn. C’è il sole e la cittadina sembra accogliente. Peccato che siamo troppo mattinieri e non ci sia ancora in giro nessuno... Gironzoliamo per qualche via, ma  decidiamo presto di avviarci verso la laguna glaciale. La strada attraversa paesaggi abbastanza monotoni. Erba e pecore a destra, scogliere nere e mare a sinistra. Davanti a noi l’imponente lingua del ghiacciaio più grande d’Europa: il Vatnajökull. Ci infiliamo in uno sterrato con l’intento di avvicinare il ghiaccio, ma la strada conduce a due fattorie dall’aspetto un po’ malandato e siamo costretti a tornare da dove siamo venuti. Sono le 11 quando arriviamo nello spiazzo che offre una magnifica vista su Jökulsarlón. Il cielo è grigio, ma l’azzurro degli enormi iceberg luccicanti che popolano la laguna è comunque intenso. Davide ed Ale partecipano all’escursione sul mezzo anfibio che naviga tra le spettacolari sculture di ghiaccio, io decido di aspettarli a terra.

Il mezzo anfibio della nostra escursione
Sono fortunati, perchè poco dopo la partenza il cielo si schiarisce e la laguna si illumina accendendo colori che vanno dal blu al turchese. I miei cari navigano tra gli iceberg ed io mi godo il paesaggio dall’alto di una collinetta. Il lago è ricco di vita: Edredoni e Germani fluttuano elegantemente nelle gelide acque, mentre le sterne sono indaffaratissime nei loro voli acrobatici. Un paffutello Zigolo delle nevi si appoggia su un masso dinnanzi e rallegra la mia attesa.

Il tempo questa volta è stato clemente
Nel canale che fa defluire l’acqua verso il mare c’è parecchio traffico: iceberg dalle diverse misure e dai diversi toni, spinti dalla corrente, si accodano per la loro dipartita verso l’oceano. Ogni tanto qualcuno si scontra, qualcun’altro si incaglia rimandando il suo viaggio a più tardi; qualcuno invece riesce ad attraversare l’ingorgo scomparendo all’orizzonte. La spiaggia dinnanzi alla laguna pare un manto di velluto nero sul quale poggiano centinaia di grossi diamanti.

I pezzi degli iceberg spiaggiati
Si tratta del ghiaccio levigato dall’acqua che brilla sotto i raggi di questo sole che ora si è fatto intenso. Fa anche caldino. Mi appisolo. Nel pomeriggio riprendiamo il viaggio. A malincuore scopro che ci siamo persi la fantastica cascata Svartifoss, ma non riesco proprio a capire da dove parte il sentiero per raggiungerla e sulla strada non abbiamo trovato alcuna indicazione. Il paesaggio e il cielo si fanno ancora una volta cupi e tetri. Siamo nell’enorme Skeiðarársandur: una distesa di sabbia grigia composta dai detriti trasportati negli anni dal ghiacciao. Qui non c’è veramente nulla, solo terra grigia e acqua: né pecore, né uccelli... solo il nostro - speriamo affidabile - camper e noi tre. La strada viaggia sospesa su una serie di ponti in ferro e attraversa questa piana desolata che si estende per ben 50 chilometri.

L'unico segno di civiltà che incontriamo sono i piloni della corrente
Per rendere il tutto più allegro il cielo ci regala pure qualche goccia d’acqua. Lasciato questo deserto la terra torna a mostrare i suoi colori e si veste di erbetta dal verde intenso. Ora sembra di essere in Irlanda. Promontori, muretti a secco, praterie, pecorelle e cascate che da altopiani nudi si gettano nel verde della piana. Giunti a Kirkjubæjarklaustur ci sistemiamo in un curato campeggio (www.kirkjubaer.com). Al supermercato acquistiamo un ottimo trancio di salmone affumicato di Reykjavik e del burro. Questa sera la cena è davvero deliziosa!

17 giugno
Notte tranquilla finalmente in compagnia di qualche turista. Acquazzone mattutino, arcobaleno e sole pieno... Che tempo variabile!!! Attraversiamo i campi di lava cosparsi di muschietto verde dell’Eldhraun, poi distese di lupini viola e poi ancora lava.

I Lupini in certe zone ricoprono intere pianure e colline
All’orizzonte un altopiano verdeggiante che sorge come un’isola da una distesa di mare nero attira la nostra attenzione. Svoltiamo per una sterrata e ci addentriamo in una distesa di sassolini neri. Eccoci ai piedi di Hjörleifshöfði. Un sentiero conduce alla cima (221 mslm). Incontriamo resti di abitazioni, cespugli di angelica e dall’alto godiamo di una splendida vista sulla distesa di ghiaietto nero che si estende fino all’oceano.

La nera distesa sembra un'oceano
Non appena lasciamo il promontorio il cielo si incupisce e a Vik, paese poco distante, troviamo un tempo pessimo: acqua e nebbia. Sosta all’ufficio del turismo per qualche brochure e al negozio di souvenir per qualche ricordino poi scendiamo verso la spiaggia di Reynisdrangar da dove c’è una bella vista sulla scogliera e i faraglioni, ma con questo tempo lo spettacolo è davvero malinconico. Siamo invece molto più fortunati a Reynisfjara, pochi chilometri più avanti, dove è ritornato a splendere il sole e possiamo ammirare in tutto il suo splendore, in fondo alla lunghissima spiaggia nera, l’arco naturale e il promontorio di Dyrhólaey che spiccano con il loro verde intenso su di un cielo blu cobalto.

In lontananza ammiriamo il promontorio di Dyrhólaey
Camminiamo sulla spiaggia di tondi sassolini neri e scattiamo qualche foto alle perfette colonne basaltiche che costituiscono la costa.

Le colonne basaltiche
Pranzo in camper (ma quanto è buono il tonno in scatola islandese) e riposino. Il pomeriggio doveva essere interamente dedicato alla penisola di Dyrhólaey, ma ne rimaniamo abbastanza delusi per via del notevole afflusso di turisti. Era tanto bello visto dalla parte opposta del golfo, ma ora che siamo qui, ci sembra abbastanza deludente... La brochure annuncia la presenza dei puffin, ma noi non ne incontriamo nemmeno uno. Lasciamo la zona e proseguiamo il nostro viaggio. Rassicurati da un bus che si infila in uno sterrato poco raccomandabile decidiamo di infilarci  pure noi e, dopo 4 chilometri di strada stretta ed un po’ dissestata, raggiungiamo una lingua del ghiacciaio: la Sólheimajökull.

La lingua del ghiacciaio annerita dai depositi della recente eruzione
Lasciamo il camper e passeggiamo lungo la costa di questo lago marrone osservando la maestosità del ghiacciaio nero. Presumiamo sia così nero per i recenti depositi di cenere del vicino e famigerato Eyjafjallajökull. L’ultima sosta della giornata è alla fantastica cascata Skógafoss. Aspettiamo in camper che cessi di piovere nella speranza che si presenti anche un raggio di sole. La pioggia cessa, ma il sole tarda a farsi vedere, così ci accontentiamo di una mezza luce e risaliamo i 200 ripidi scalini che costeggiano il salto ammirando dalla piattaforma i 62 metri di caduta dell’acqua. Direi però che lo spettacolo è più emozionante dal basso.

La maestosa Skógafoss
Colti da un raptus di follia decidiamo di indossare le mantelline e di avvicinarci il più possibile alla tonante massa d’acqua. Una leggenda narra che un vichingo nascose uno scrigno pieno di monete d’oro in una grotta dietro la cascata ed io - ovviamente - voglio dare una controllatina... Non abbiamo però fatto bene i conti... Più ci avvicinamo e più i nostri straccetti di plastica svolazzano in ogni direzione lasciandoci completamente in balia dell’acqua e del vento. Siamo fradici, piccoli e indifesi come pulcini davanti a questa spaventosa e assordante massa d’acqua. Abbiamo raggiunto il laghetto, ma l’aria diventa acqua gelida ed è difficile persino respirare. Mi sento tanto George Clooney in “La tempesta perfetta” e mi sento anche un po’ stupida ad aver pensato che il mio sacchettino giallo mi avrebbe resa completamente impermeabile! Passiamo metà della serata a cercare di asciugare i pantaloni infilandoli nel manicotto della stufetta, l’altra metà a ripulire i vetri del camper dalla condensa che abbiamo creato. Notte tranquilla nel campeggio ai piedi della cascata.

18 giugno
Sveglia abbastanza tardi. La prima sosta della giornata è ai piedi di un’altra stupenda cascata: Seljalandfoss. Un sentiero bagnato e scivoloso consente di passare dietro la cascata e sembra che l’impresa non sia tanto da folli come la scorsa. Lasciamo perdere le mantelline e rassicurati dai turisti che hanno completato il giro e sembrano comunque asciutti, ci avventuriamo. In effetti ci si bagna poco e lo spettacolo è unico; peccato però che il mio maritino sia fanatico di fotografia e si sia pure portato il cavalletto per fare foto con tanto di filtro ND e tempo lungo. Ovviamente l’obiettivo si bagna in continuazione e va asciugato e ovviamente non basta uno scatto ma bisogna farne almeno dieci... Tutto ovvio... così come è ovvio che con questi tempi di attesa ci siamo lavati ancora una volta... N’è valsa comunque la pena: le foto sono stupende ed io ho avuto tutto il tempo per ammirare la cascata da tutte le sue angolazioni.

Uno dei tanti mezzi assurdi che abbiamo incontrato lungo la strada
Lasciamo la terra, l’acqua e l’aria per immergerci nell’avventura ‘fuoco’. Decidiamo di assistere al documentario che proiettano - anche in lingua italiana - all’ Eyjafjallajökull Centre (link). Il film narra dell’esperienza di una famiglia che vive tutt’ora in una fattoria ai piedi del vulcano. Le immagini e la storia sono impressionanti e fanno intuire la precaria pacifica convivenza uomo-vulcano. Ci sembra di vivere la spettacolare eruzione, la disastrosa forza della massa d’acqua generata dallo sciogliemento del ghiaccio e la spaventosa discesa della coltre di cenere che ha investito completamente l’area. Per poi concludere vedendo come l’eruzione si sia smorzata, il ghiacciaio si sia rimodellato, la cenere abbia lasciato posto all’erba e al grano e l’uomo sia comunque sopravissuto e abbia imparato a convivere ed assecondare le ostilità di questa terra giovane e imprevedibile. Trottiamo fino a Hvolsvöllur. Decidiamo di pranzare all’Eldstó Art Café (link) citato da Tripadvisor come uno dei migliori della zona. Ordiniamo un’insalata di salmone e gamberetti, ci viene presentata bene, ma è pur sempre un’insalata... La particolarità del locale sta nel fatto che sia anche galleria d’arte e tra i tavoli è possibile osservare ed acquistare ceramiche realizzate in loco. Attraversiamo Selfoss, cittadina abbastanza popolosa, e percorriamo un tratto del circolo d’oro fino al rosso cratere Kerið che oltre allo spettacolo del colore non ci dà nulla d’altro.

Il cratere rosso
Poi ritorniamo verso la costa per arrivare a Stokkseyri. Sulla guida ‘Dumont’ é segnalato il museo ‘Icelandic Wonders’ (link). Ne parla bene ed in particolar modo siamo colpiti dalla frase che lascia intuire che in un’enorme cella frigorifera con temperature dai -5 ai -10° sia possibile ammirare i giochi di luce dell’aurora boreale e i cristalli di ghiaccio. Dall’esterno lo stabile sembra abbastanza capiente e ci convinciamo ad entrare. Lo spettacolo invece si dimostra una cagata pazzesca e veniamo derubati di 3.990 corone per percorrere un buio tunnel dove sono stati piazzati pupazzi e manichini rappresentanti elfi e troll. La spiegazione è in inglese e la sala dell’aurora boreale è un triste stanzino illuminato da led verdi e blu dove si proiettano filmati di pessima qualità sull’aurora. Delusi ritorniamo in camper per raggiungere Hveragerði. Il villaggio viene venduto bene dalle guide, ma a noi non sembra un granché. Siamo anche un po’ stanchi... Tiriamo sera e pernottiamo al campeggio cittadino.

19 giugno
Questa mattina il sole splende e noi siamo carichi di energia. Prendiamo la strada che porta alla Penisola di Reykjanes attraversando una valle piena di fumarole. Siamo attratti dalle spumeggianti onde che si infrangono sulla scogliera nera e ci imbuchiamo nel primo sterrato che troviamo. La stradina corre nel mezzo di estese praterie, poi si trasforma in un sentiero. Sostiamo e procediamo a piedi. Camminiamo nel verde di questa grassa erba. Fa caldino e un leggero venticello accarezza i nostri volti. Siamo in compagnia: la solita Pettegola - che abbiamo anche nominato padrona del palo - perchè si piazza su ogni paletto e continua a ciabattare insistentemente, e un Chiurlo dall’appuntito becco ricurvo, volteggiano sulle nostre teste e ci ricordano che non siamo soli.

Questo Chiurlo ci ha accompagnato per tutta la camminata
Eccoci sulla scogliera ad apprezzare la brezza marina e ad ammirare il cielo blu e le onde spumeggianti... quando proprio lì vicino a noi, su uno scoglio, ci accorgiamo che una signorina panciuta sta godendosi, anche più di noi il paesaggio: si tratta di una splendida foca grigia. Che spettacolo!!!

Si gode il sole in santa pace sicura di non essere disturbata
Torniamo soddisfatti alla base e riprendiamo la strada per Krisuvic. Il tempo è di nuovo peggiorato. Visitiamo il gruppo di sorgenti termali e pozze di fango di Seltún. Le passerelle si snodano tra vasche gorgoglianti, gli strani minerali che fuoriescono dal sottosuolo conferiscono riflessi iridescenti al fango che circonda le fumarole. Affrontiamo un ripido sentiero che raggiunge una grossa solfatara. Una volta giunti in cima alla collina non solo siamo ripagati dalla bocca sputafumo, ma anche dalla stupenda vista sul lago Kleifarvatn. Che puzza tremenda di uova marce... cosa avrà mangiato mai questo gigante? Del sole nemmeno l’ombra...

La vista che si poteva godere dalla cima della collina
Sostiamo nei pressi della chiesa di Krisuvik, ma presi dal panico, per paura che la videocamera - che pare un po’ fuori fase - non abbia ripreso nulla dall’inizio della vacanza, ci passa la voglia di visitare la chiesetta. Pranziamo in compagnia di una pecorella nera e dei suoi due piccoli e ci accertiamo che le riprese siano salve. Tentiamo la discesa verso la scogliera attraverso una stretta strada sterrata che attraversa un campo di lava. Svoltata una curva... ecco un ostacolo imprevisto: un piccolo fiume! Non ci azzardiamo a guadarlo, così dopo aver percorso un tratto in retromarcia troviamo - grazie al cielo - un piccolo rientro e riusciamo a fare inversione e a ritornare sull’asfalto. Siamo più fortunati con il secondo sterrato nei dintorni di Valahnjúkur. Raggiungiamo la calda sorgente termale di Gunnuver che ci investe con i suoi vapori puzzolenti, l’area pare possa esplodere da un momento all’altro; non ci sentiamo proprio al sicuro...

Se non fosse per il cielo azzurro sembrerebbe un paesaggio da inferno dantesco
Puntiamo verso l’estremità su-occidentale della penisola e giungiamo Reynisfjara: un luogo selvaggio di grande bellezza: un ampio altopiano di lava con vista panoramica sulla scogliera e su faraglioni neri colpiti in continuazione da violente e altissime onde. In balia di un mare tanto grosso ed impetuoso questi massi alti una ventina di metri sembrano sassolini.

Le stupende scogliere di Reynisfjara
La giornata prosegue con una passeggiata lungo il ponte che unisce le due estremità di un canyon colmo di sabbia che separa la placca continentale europea da quella nordamericana, dopodiché raggiungiamo Garður, un piccolo paesino. Nel prato sotto al faro è possibile sostare per la notte. Il cielo è ritornato sereno e questa sera vogliamo goderci il sole di mezzanotte. Cena e attesa...

Sulla sinistra si intravede il vulcano Snæfell
Eccoci sul pontile del faro nel mezzo di questa notte luminosa. Il sole è una palla arancione che si sta appoggiando su un mare infuocato. In lontananza, nel cielo rosso, riusciamo a scorgere la sagoma scura del vulcano Snæfell. Ad est, in un cielo indaco, anche la luna sta ammirando lo spettacolo. Che attimo memorabile!

20 giugno
Oggi il cielo è blu fino all’orizzonte, anche se ormai siamo pronti ad aspettarci che da un momento all’altro cambi. La meta della giornata è la Laguna Blu: la piscina termale più famosa d’Islanda. Dopo aver attraversato estesi campi di lava ecco in lontanza i fumi della centrale geotermica affianco la quale è stato realizzato questo innovativo centro termale. Non si può resistere alla tentazione di tuffarsi in questo spendido laghetto di acqua calda turchese. Sostiamo e ci accodiamo per il biglietto che è caruccio (spendiamo 12.800 corone per 2 ingressi - per fortuna Davide non paga). Lo stabile è curatissimo, docce e spogliatoi sono molto eleganti e puliti. D’obbligo la doccia con tanto di sapone prima di entrare ed eccoci immersi nelle lattiginose acque celesti. La temperatura dell’acqua per me è un po’ altina... Resisto a stento... Per evitare di lessare alterno bagno e passeggiata sulle terrazze; ci sono 18° e sopravvivo anche fuori dall’acqua. Chi non ne avesse abbastanza del bagno caldo può provare la cascata d’acqua bollente, oppure chiudersi nella sauna... Noi non ce la facciamo!

Uno dei laghetti esterni alla struttura
La mattina trascorre velocemente ed è mezzogiorno quando usciamo cotti a puntino. Ritorniamo a Reynisfjara per vedere l’effetto che fa la costa con questa meravigliosa luce, ma rimaniamo un po’ delusi perchè il sole illumina la scogliera dal lato opposto e l’oceano è quasi calmo; lo spettacolo di ieri pomeriggio ha lasciato il posto ad un altro scenario, completamente differente. Riposino e giretto lungo la costa. Il tempo corre ed è arrivato il momento di avvicinarci a Reykjavik per trovare un campeggio dove trascorrere la notte. Prima di raggiungere la città sono curiosa di fare una passeggiata nel parco di Hellisgerði a Hafnarfjörður: un giardinetto pieno di grotte di lava, laghetti ed alberi. Dicono che sia popolato da un numero particolarmente elevato di leggendarie creature. Noi non ne incontriamo nemmeno una, ma ovviamente sono intimorite dalla presenza di tre italiani e se ne guardano bene dall’uscire allo scoperto! La cittadina è molto carina e vivace, passeggiamo per le vie curiosando tra le caratteristiche abitazioni.

Oggi sembra proprio estate!
Oggi fa abbastanza caldo (20°) e gli islandesi si stanno godendo il magnifico pomeriggio di sole nei loro giardini. Sono le 17 quando giungiamo nel super-attrezzato campeggio di Reykjavik. Passiamo la serata a ripulire il camper e a preparare i nostri bagagli.

21 giugno
Questa giornata è dedicata interamente alla visita della vivace e moderna città di Reykjavik. Il nostro giro parte dall’originale Sun Craft: una scultura in acciaio che ricorda una nave vichinga che sta per salpare.

La famosa scultura
Parcheggiamo il camper dietro alla Hallgrímskirkja e scendiamo per la via Skólavörðdustígur (ci fosse una lettera normale in questi nomi impronunciabili). Per la gioia di mio figlio, entro in tutti i negozi che incontro; non so resistere... sono troppo incuriosita da tutti questi oggetti insoliti; mi piacciono i dipinti naif che rappresentano paesaggi islandesi, i piccoli elfi intagliati nel legno, gli animaletti in feltro, i maglioni, i cappellini, le ceramiche e le pecorelle fatte di sassi incollati. Comprerei un sacco di cose, ma trovo tutto troppo costoso... Passeggiamo per le vie del centro e curiosiamo tra gli insoliti locali. Giunta l’ora di pranzo ci infiliamo da Prikið: un locale menzionato da Tripadvisor. Servono hamburger e ne ordiniamo tre. Davide e Ale rimangono soddisfatti, io invece sono stata gabbata perchè non era scritto che oltre al manzo e al blue cheese nel mio panino c’era pure la marmellata di fragole che nell’insieme mi fa veramente schifo!!!

Ad Ale è andata decisamente meglio ma lo sta ancora digerendo...
Ritorniamo al camper per spostarci nell’area verde dove apprendiamo i nomi delle più svariate specie di fiori piantati nel giardino botanico e facciamo quattro passi lungo ponticelli bianchi che collegano idilliaci laghetti. Ci riposiamo su una panchina sotto questo sole intenso e caldo.

Non pensavamo di trovare un parco del genere in Islanda
Un’ultima curiosità che voglio vedere è la spiaggia geotermica di Nauthólsvik: una piccola spiaggia di sabbia dorata attrezzata con una sorgente termale in modo che l’acqua sia sempre attorno ai 20°. La spiaggia non è granché e l’acqua per noi è decisamente fredda, ma la vasca d’acqua calda sembrano invitanti... Peccato che siano ultra-affollate. Siamo veramente stanchi... E’ giunta l’ora della consegna del camper. Come d’accordo lo riportiamo dai suoi proprietari. Passiamo la sera in compagnia di Sigrún e di suo marito. Ci offrono la cena a base di riso e latte condito con cannella e zucchero, pane - tipo piadina - imburrato e ricoperto di fettine di agnello affumicato (buono) e sanguinaccio (che non abbiamo il coraggio di assaggiare). Chiacchieriamo per un po’ e ci ritiriamo nella nostra cameretta per una lunga notte insonne (non siamo più abituati a dormire in un letto vero).

22 giugno
Sono le 5 e siamo già svegli come grilli. Come tiriamo le 7.30? Davide colto da un lampo di genio ci fa vedere in streaming un’interessante e divertente puntata de “Il testimone” dedicata agli usi e costumi d’Islanda. Finalmente è giunta l’ora della colazione!!! Stiamo a tavola e sorseggiando un tè chiaccheriamo un po’ con i nostri unici amici islandesi. E’ purtroppo arrivato il momento di lasciare la città: Sigrún e il marito ci accompagnano in aeroporto. Purtroppo durante il tragitto ricevo un messaggio nel quale Icelandair annuncia un ritardo di ben 6 ore sul volo... Increduli ci facciamo comunque lasciare in aeroporto. Le cose stanno proprio così: sono le 9 e ci tocca aspettare fino alle 17 prima della partenza! Che noia infinita!!!!!!!!!!!! Quando l’aero decolla e sorvola un angolo di questa meravigliosa isola mi scendono due lacrimoni, ma la vacanza prima o poi termina, bisogna rassegnarsi... Così, dopo 4 ore di volo e 2 di fuso orario, alle 23 dall’alto del cielo nero scorgiamo le innumerevoli luci dell’interland milanese. Eccoci nel super-affollato Nord-Italia!

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